7 febbraio 2008

DICONO DI NOI


Finalmente si comincia a comprendere come le modifiche legislative quali TU e Codice abbiano indebolito la tutela del patrimonio culturale.

Articolo su "LA STAMPA"(Del 6/2/2008)

LA GIRANDOLA DEI BENI CULTURALI
Michele Ainis

Rutelli ha chiuso il suo mandato da ministro con un balletto di nomine, di spostamenti, di scambi di poltrone. Fra le vittime più illustri Pio Baldi, rimosso dalla direzione del Dipartimento per l'arte contemporanea; ma pure altri suoi colleghi come Scala, Reggiani, Scalpellini. Insomma una «girandola impazzita», per dirla con Vittorio Emiliani, artefice d'una protesta inascoltata. Sennonché le continue rotazioni di soprintendenti e direttori generali formano soltanto un corno del problema.
Questo problema è il terremoto permanente cui la politica condanna il nostro ministero più prezioso, e l'altro corno ha a che fare con le norme, anziché con le persone. Da qui un paradosso.
La tutela dei beni culturali è stata governata per oltre mezzo secolo dalla legge sulle «cose d'arte», varata nel 1939 da un gerarca illuminato del fascismo: Giuseppe Bottai. Una legge liberale, più che autoritaria, cui a suo tempo posero mano esperti d'arte o di diritto del calibro di Santi Romano e Giulio Carlo Argan. E infatti ha funzionato a perfezione.
Poi negli anni Novanta abbiamo cominciato a demolirla, e da allora ogni riforma è stata immediatamente scavalcata dalla riforma della legge di riforma. Con quali risultati?
Uno su tutti: è sempre più dubbio e contestabile che in Italia si conservi il 30% del patrimonio artistico mondiale; è indubbio viceversa che il Belpaese ospiti il 30% della legislazione artistica mondiale.
Gli episodi? Per raccontarli non basterebbero le pagine di questo giornale. Ma le principali giravolte dell'ultimo decennio sono nell'ordine: il varo d'un nuovo ministero (nel 1998); la sua ristrutturazione a ogni cambio di governo; il testo unico sui beni culturali (nel 1999); la sostituzione del testo unico con un codice (nel 2004), modificato a propria volta nel 2006; il tiro alla fune delle competenze statali e regionali (prima, durante e dopo la riforma costituzionale del 2001). Da qui gli ondeggiamenti normativi circa i concetti di tutela, gestione, valorizzazione dei beni culturali (anzi no, la gestione non esiste più per legge: è stata cancellata all'alba del terzo millennio). Da qui la dilatazione progressiva del medesimo concetto di bene culturale (un tempo ristretto alle eccellenze artistiche, oggi allargato a matrici fotografiche e siti minerari).
Da qui le crepe aperte dalla legge sulla «Patrimonio dello Stato spa» (nel 2002) o da quella sul «silenzio assenso» (nel 2004). Da qui, infine, i lavori in corso al ministero che fu di Spadolini, ridisegnato nell'ottobre scorso portando a 9 le direzioni generali (erano 4, poi 7), riducendo a 15 i membri del Consiglio superiore (erano 98), e però ripristinando dopo dieci anni la figura del Segretario generale.
Questo moto perpetuo non è affatto a costo zero. Costa perché genera incertezza, dato che nel bailamme qualsivoglia intervento - anche il più sciagurato - troverà sempre un brandello normativo cui aggrapparsi.
Costa perché l'incertezza è a sua volta fonte di conflitti, e infatti il contenzioso fra Stato e regioni dinanzi alla Consulta è diventato un fiume in piena. Costa perché innesca la fuga dalle responsabilità, individuali e collettive (se tutti sono responsabili, nessuno è responsabile).
Costa perché inocula un senso d'improvvisazione fra gli addetti ai lavori. E infine costa perché rende instabile e sbilenca ogni cura somministrata al nostro patrimonio culturale.
Se vogliamo difendere ciò che ancora ne rimane, se vogliamo tutelare piazze quadri monumenti,
è l'ora di fermarsi. Ed è esattamente questo l'appello da rivolgere al prossimo ministro: stacchi l'acceleratore, e tiri il freno a mano.

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5 febbraio 2008

Le soprintendenze stanno morendo, ma il Mibac non lo sa.


“Un’occasione decisiva per segnare una svolta nella vita della nostra collettività”. “L’inizio di una rifondazione ecologica del Paese, la prima pietra di una nuova Italia”. Giovanni Valentini, dalle pagine di “Repubblica” del 28 gennaio, non nasconde l’entusiasmo per quello che non esita a definire “un moderno rinascimento civile”. Poi si rende conto, abbassa il tiro e aggiunge “o quantomeno una fase virtuosa nella gestione dell’ambiente”.
A cosa si deve tutta questa estasi? Pensate, all’ennesima revisione del Codice dei Beni Culturali, che avrebbe il pregio di riaffermare la competenza dello Stato nella tutela del paesaggio.
Bene. L’entusiasmo fa sempre bene, e vorremmo poterlo condividere. Purtroppo il nuovo “rinascimento civile” di cui vagheggia Valentini non è proprio dietro l’angolo e la revisione del Codice dei Beni Culturali sembra l’ennesima caricatura delle gloriose leggi di tutela del 1939, predisposta da chi ignora – pressoché completamente – il lavoro di trincea svolto ogni giorno dalle soprintendenze.
I nuovi 184 articoli del Codice – praticamente tutti – non sono noti, ma a leggere l’articolo di Valentini sembrerebbe che la principale novità – che poi novità non è - consista nell’attribuire alla soprintendenze il compito di autorizzare le trasformazioni del Paesaggio.
La legge 1497 del 1939, varata dopo un dibattito culturale di alto respiro, già assegnava alle Soprintendenze questo compito e già il regolamento del 1940 indicava nel “piano paesistico” il mezzo per prevedere, graduare e valutare gli effetti sul territorio della sommatoria delle singole trasformazioni, limitando, tra l’altro, il potere discrezionale di chi avrebbe rilasciato le autorizzazioni, con evidente vantaggio per la certezza del diritto.
Dunque, nessuna novità. La vera novità è l’ammissione del fallimento di un malinteso spirito di democrazia e decentramento che portò, dal ’77 in poi, ad attribuire il potere di autorizzare le trasformazioni del paesaggio, a quegli stessi soggetti – i comuni – che in tanti casi si sono resi corresponsabili dei peggiori guasti ambientali. Insomma, fu come affidare le pecore al lupo e non è un caso che la peggiore, estesa ed incontrastata devastazione del territorio nazionale sia avvenuta in a partire da quegli anni e fino al parziale recupero di competenze operato, nel 1985, dalla benemerita legge Galasso. La recente, ennesima proposta di modifica del Codice assume, dunque, il sapore rancido di un tardivo ravvedimento operoso.
Ma andrebbe anche bene, e potrebbe addirittura essere convincente se appena gli estensori dell’ultimissima versione del Codice si fossero soffermati ad analizzare lo stato di pietoso degrado in cui versa l’amministrazione periferica del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Quella, cioè, che dovrebbe metter in pratica i nuovi-vecchi principi di tutela.
Personale insufficiente, invecchiato e mal pagato, ma tutto indistintamente “riqualificato”, cioè slittato verso profili superiori, con conseguente assenza totale delle figure una volta definite “ausiliarie”. Cronica carenza di fondi, anche quelli necessari per la vigilanza, sedi insufficienti, pericolose e malsane, mancanza di attrezzature, di cancelleria, perfino della carta igienica. Eppure, con il regolamento di riforma del Ministero, approvato solo qualche mese fa, non si trova di meglio da fare che spezzettare gli uffici periferici, duplicando evidentemente i costi. Cui prodest?
Le soprintendenze stanno morendo. Lentamente, senza darlo a vedere, stanno morendo, assassinate da scelte politiche distratte, inadeguate, spesso autocelebrative. Ma mentre le soprintendenze muoiono, mentre la normativa italiana si arricchisce, ogni giorno di più, di norme derogatorie che consentono a chiunque di realizzare qualsiasi cosa ovunque, mentre i provvedimenti di tutela emessi dalle soprintendenze vengono impallinati dagli ipergarantisti tribunali amministrativi, mentre, insomma, il paesaggio va a puttane e, con esso, il Bel Paese, l’orchestrina del Mibac-Titanic, con l’acqua alle ginocchia, continua a suonare “Nearer, My God to Thee”.
Dunque, ancora un nuovo Codice, con effetto salvifico incorporato. Nuovo, o lavato con Perlana? Vedremo.
Salerno, 3 febbraio 2008
arch. Fausto Martino*

*Coordinatore del Settore per il Paesaggio delle Soprintendenza per i B.A.P.S.S.A.E. di Salerno e Avellino

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